sabato 25 agosto 2018

Le difficoltà che ho incontrato in Danimarca

Non ho avuto difficoltà a farmi piacere l’economia, i trasporti, i servizi al cittadino che funzionano, la fiducia nello Stato, l’onestà, e i vari, innumerevoli aspetti che compongono la qualità della vita, visto che queste sono le cose che in fondo speravo di trovare fuori dall’Italia. Non ho avuto difficoltà ad accettare un caffè al bar che costa 4 euro visto che la Danimarca mi da uno stipendio che è tre volte quello che mi darebbe l’Italia e che in fondo al caffè fuori si può benissimo rinunciare. Non ho avuto il problema della lingua perché io parlo inglese e i danesi parlano inglese pure. Non ho pensato al problema dei figli che soffrono per la lontananza dai parenti italiani, visto che di figli ancora non ne ho (che io sappia). Il primo anno è tutto bellissimo. Il secondo anno noto che non ho fatto molti amici, e ne ho fatti solo tra gli stranieri come me. Al terzo anno realizzo che fuori dall’Italia possiedo un’aura speciale, quella dello straniero, che forse per qualche inespressa insofferenza locale, quest’aura di straniero, non mi rende socialmente attraente ai nativi. E mi rendo conto di trovarmi costretto a vivere, giorno per giorno, in una dimensione parallela alla dimensione locale, la dimensione degli stranieri. Nonostante i nativi ostentino la volontà di promuovere l'integrazione degli stranieri, forse non si rendono conto di non volere contribuire personalmente a questa integrazione. Mi sono chiesto se lo stesso fenomeno potrebbe manifestarsi in qualche maniera anche in Italia, a Roma per esempio, dove ho vissuto. Mi sono risposto sì. Però dai, tutto sommato sapevo già che fuori dall'Italia sarei stato un immigrato. Adesso so anche che significa.