sabato 31 ottobre 2009

Gamer in Italia

Il mio lavoro da programmatore qui a Roma è sempre stato molto poco stimolante. Tuttavia nel mercato di questa città, nonostante la crisi, riesco sempre a trovare qualcosa in breve tempo e con un salario medio netto (se a progetto) sufficiente a pagarmi la casa. In questi 10 anni qui ho sofferto disoccupazione per un totale di 6 mesi, ma c'è anche da dire che per circa 5 anni ho anche avuto stipendi generosi. Lo considero un bilancio positivo considerato che siamo in Italia.
Tuttavia quello che faccio non mi piace. E quindi ogni volta che cambio datore di lavoro, do una frugata tra gli annunci del videoludico italiano sperando in qualche buona occasione. Ma finora, a parte quei casi in cui espressamente sono stati richiesti requisiti che non ho, vi ho trovato sempre opportunità con salari assai meno convenienti. Probabilmente dipende dal fatto che la tipologia di lavoro in cui mi sono mosso finora è ancorata a un'economia locale, con clienti locali e soldi locali, quindi salari commisurati. Mentre invece il mestiere del gamer italiano è alimentato da soldi stranieri e si confronta con un'economia globale, che comprende i balcani, l'est europeo, la corea, l'india, la thailandia, tutti posti dove il costo della vita è più basso e uno stipendio di 1000 euro è un super stipendio.
Questa cosa mi rende triste per un duplice motivo: primo perchè lavorare con i videogiochi è il mio sogno di sempre, ma per via di questo deprezzamento diventa un sogno che si allontana sempre di più.
E secondo perchè, sempre a causa di questa globalizzazione, i gamers italiani vengono assimilati a quella manovalanza versatile e a buon mercato che si può trovare in giro. E questa cosa mi infastidisce, non per patriottismo, ma perchè comincio a sospettare che forse è vera.
Quindi la realtà è che, almeno finchè resto in italia, questo mio sogno si trasforma in un costoso capriccio. Un capriccio che ho accarezzato di nuovo quando abbiamo parlato il mese scorso. Tant'è che mi sono passato in rassegna le varie impedenze che ostacolano questo capriccio e ho cercato di risolverle una per una. Prima fra tutte la casa: come affittarla, per coprire parte della rata del mutuo con l'affitto e bilanciare la differenza di salario; eseguire i lavori di ristrutturazione del giardino e seguirli a distanza; superare lo stress psicologico di non avere più un posto mio e tornare alla vita che facevo quando ero uno studente condividendo l'appartamento con altri; parcheggiare la mia roba da qualche altra parte..
Alcune di queste cose non saprei ancora come risolverle. Ma nel frattempo la risposta definitiva mi è arrivata da una faccenda che riguarda mia madre, per la quale ha bisogno di soldi. E' già successo l'anno scorso. Forse accadra di nuovo o forse no. Ma per fortuna qualcuno in famiglia (io) ha avuto modo di mettere da parte qualcosa e si è potuto far fronte in maniera tranquilla ad eventi di carattere straordinario. Mi sono chiesto come si sarebbe potuto fare se anche io non avessi avuto margini per far fronte a questo genere di cose.
Mi sono detto che no, non posso. Non posso pagare un prezzo così alto, rinunciare a cose che ormai sono parte di me, di quello che sono, e soprattutto alla possibilità di aiutare la mia famiglia, che tanto mi ha aiutato in passato, per inseguire un capriccio.
Sono convinto che il lavoro serve innanzitutto per potersi permettere un spazio proprio, una indipendenza economica, possibilmente con margini di guadagno sufficienti per poter affrontare eventi straordinari, che chi non è più ragazzino sa benissimo fanno parte della vita. E non posso promuovere a lavoro, un'attività che non mi porta questi benefici. O quanto meno non posso scambiarlo col lavoro che invece questi benefici me li porta. Forse potevo farlo qualche anno fa, e forse lo farò tra qualche anno quando avrò estinto i debiti e mi sarò creato una rendita supplementare. Ma non posso farlo adesso.
Il lavoro che faccio qui a Roma non mi piace e probabilmente adesso mi piacerà anche meno. Ma con questo lavoro posso fare tutto quanto ho detto sopra. E questo non posso perderlo.
Quando non si ha niente da perdere è facile fare certe scelte. 10 anni fa stavo ancora giù in Sicilia da mia madre, e avrei tranquillamente risposto sì. E chissà oggi forse sarei più felice. Invece adesso mi trovo a rispondere no, e non mi sento particolarmente felice.

giovedì 15 ottobre 2009

L'unico modo che avevi per sfiorare la perfezione era di passarmi accanto.